lunedì 29 aprile 2013

Il silenzio degli sconfitti

Tremenda è la lotta. Soprattutto in fondo alla strada, quando diventa fondamentale dribblare la sostanza della retrocessione, abbandonando la forma. E quando troppi nomi importanti concorrono per raggiungere il traguardo: Genoa e Palermo su tutti. E, da ieri, ufficialmente anche il Torino di mastro Ventura. Che, giropalla o no, possiede il materiale che conosciamo: abbastanza limitato, dal punto di vista squisitamente tecnico. E, forse, pure da quello caratteriale. E che, probabilmente, sconta un certo rilassamento dell'ambiente: credutosi salvo troppo in fretta. Il Torino, anzi, è la formazione più sofferente del lotto, oggi come oggi. E quella psicologicamente meno abituata alla situazione che sta vivendo. Se Genoa e Palermo appaiono, cioè,  fortemente motivate, il Toro è in sicura recessione: e questo, ad un certo punto della stagione, conta. Probabilmente, il pessimismo cosmico della gente granata ingigantisce la crudezza dellla realtà: incidendo pure. Mentre, magari, la situazione non è così irrimediabilmente compromessa. E alla fine, chissà, Bianchi e soci si salveranno agevolmente. Ma nulla ci vieta di pensare che il quadro clinico della squadra si sia fortemente appesantito. E che il Toro la retrocessione un po' se la cerca e un po' se la merita: se non altro, per quella strana mania di farsi scivolare tutto addosso. Come se niente lo riguardasse. Prendiamo il derby, quello di ritorno: che è, poi, soltanto un pretesto. E, al contempo, un film già visto. Che abbiamo già avuto occasione di commentare: ma ripetersi, certe volte, non guasta. Vince la Juve, come da copione. Come da pronostico. Perché, analizzando serenamente il divario di artiglieria, non c'è partita. Ma vince proprio in coda al match, gocando come dovrebbe giocare il Torino, casa storica del tremendismo. Potento contare, ovviamente, su qualche facilitazione: da una parte un certo tipo di fallo è punito severamente, dall'altra no. E in un'area è più facile scorgere la scorrettezza e nell'altra no: al di là del fatto che Jonathas, prima di essere atterrato, sia di qualche centrimetro in offside. O che il contrasto tra Glik e Chiellini possa essere recintato nel terreno della consuetudine. Nessuno, comunque, urla allo scandalo. Primo, perché - a fronte di episodi che navigano ai limiti della certezza - scandalo non c'è. Secondo, perché il Torino non fa notizia, mai: lasciando il palcoscenico agli altri. Che se lo prendono sempre, a prescindere: con la forza del torto o della ragione. Terzo, perché anche l'informazione nazionale ama glissare certi particolari, quando manca l'audience. Quarto, perché la società continua a tacere, dopo anni di rodaggio: e, dunque, acconsentendo. Lo stesso Glik, riflettendo sulla rete, si lascia scappare un tweet, che di questi tempi è operazione assai trend: «Non so che dire», scrive. Ecco, appunto: l'abitudine al silenzio genera altro silenzio. Quello degli innocenti. O dei brutti, sporchi e sconfitti.

giovedì 18 aprile 2013

Quando il giovane Stramaccioni esagera

Andrea Stramaccioni è giovane e si farà. E, intanto, comincia a misurarsi con il mondo: senza risparmiarsi parole appuntite, battute franche, spunti polemici. Puntando dritto sull'universo arbitrale, se serve (e serve spesso): trovando spazio, in diverse occasioni, dalla parte della ragione, che sia detto. Oppure, alzando la barricata tra sé e la critica: che non ama o mal sopporta. Trovando puntualmente la motivazione logica, ma anche tecnica e tattica, che spiega le difficoltà croniche dell'Inter, il regresso caratteriale del collettivo, la rinuncia alla manovalanza giovane (sulla quale avrebbe dovuto fondarsi la ricostruzione, come da programma societario) e il fallimento del progetto. Osteggiato, va detto pure, dall'intensificazione di infortuni di differente natura, che finiscono con l'incidere - e non poco - sulla classifica: assolutamente improponibile per un club di pima fascia. Che, olte tutto, si ritrova a metà aprile senza prospettive (la qualificazione in Champions è andata, quella in Europa League quasi) e senza alternative consolatorie (il cammino europeo si è interrotto di fronte al Tottenham e, da ieri, Zanetti e soci hanno salutato anche la Coppa Italia, contestati dalle tribune). Il tecnico, però, resiste e controbatte. Aggirando il problema della riconferma, non più così automatica, malgrado le assicurazioni di patron Moratti. E facendosi regolarmente scudo, gli va dato atto, della squadra: come il suo predecessore Mourinho insegna. Proteggendo la truppa dalle insidie dei commenti, deviando le contestazioni, attirando quasi tutte le attenzioni. Senza assumersi, magari, neppure troppe responsabilità. Ma non dimenticando mai di tributare al gruppo la propria soddisfazione, che è poi la soddisfazione di un allenatore paziente e comprensivo. E' accaduto anche ieri, sùbito dopo la nuova e imbarazzante caduta, di fronte alla Roma, nel match decisivo di Coppa. Sconfitto, ma ugualmente compiaciuto della prestazione: il coach rilancia. Forse, solo per necessità e non certo per convinzione: lo stratega deve pur inventarsi qualcosa, per parare il contraccolpo dell'eliminazione. Ma, questa volta, il giovane Stramaccioni esagera. Offendendo la sua intelligenza. E la nostra.