martedì 19 marzo 2013

Nicchi e la brutta storia di Pescara

C'è una squadra che sta affogando, il Pescara. Che, ormai, perde troppo spesso e che teme fortemente la B. Trascinandosi tensioni e malesseri, di ordinaria quotidianità. Arriva il momento di incontrare il Chievo, in casa, e nell'ennesima gara delicata della stagione si abbatte un'azione di gioco controversa. E, poco dopo, se ne aggiunge un'altra. Le decisioni dell'arbitro, che si chiama Mazzoleni e viene da Bergamo, sono contrarie: in entrambe le situazioni. A match tramontato, infine, si arrampica l'esigenza (lecita) di sapere, di capire. Di contestare, magari. E di chiedere (o pretendere) spiegazioni: quasi fossero un risarcimento morale. Di rimando, ci sarebbe anche una risposta. Che non piace. E che rinfaccerebbe certe parole spese in settimana dai tesserati del club, particolarmente ruvidi verso l'universo arbitrale. Brutta storia: ancorchè tutta da verificare. Brutta perché, se non altro, presuppone sanzioni severe. Per il direttore di gara, che dovrebbe attenersi ai fatti del campo e, nello specifico, di quella partita, senza soffermarsi su questioni differenti. Oppure per Daniele Sebastiani, presidente della società abruzzese, che davanti ai microfoni e all'Italia intera avrebbe raccontato una bugia. Intanto, in attesa delle valutazioni della procura federale, ormai investita ufficialmente della responsabilità di risolvere la querelle, interviene Nicchi, il capo degli arbitri nazionali: «Ognuno risponde di quel che dice, la verità verrà fuori». Lo speriamo. Anche se, anche nel pallone di casa nostra, ci fidiamo sempre di meno. E poi: «Gli arbitri non devono essere oggetto di aggressioni e contestazioni sotto i tunnel o negli spogliatoi. Nessuno è autorizzato a contestare fuori dai luoghi preposti». Può darsi. Anzi, è sicuramente così. Ma il concetto di fondo non cambia. O meglio: non si stempera la gravità dell'accusa. E quella dell'ipotizzata risposta. Che, se c'è stata, è una pessima risposta. Buona soltanto a seminare nuove macchie. E nuovi dubbi: sul calcio e su chi lo governa. Dentro il rettangolo di gioco, in questo caso. Ci ha pensato, Nicchi?

lunedì 18 marzo 2013

Conte, Pioli e il Chelsea

Bologna non ama la Juve. Come Napoli. Come Firenze. Come buona parte di Torino, del resto (sponda granata, ovvio). Come Roma. E come altri luoghi d'Italia (magari, sarà anche il motivo per cominciare a chiedersi il perché). Dove arriva la formazione di Conte, cioè, crescono i problemi: di ordine pubblico, soprattutto. Come le ultime decisioni della magistratura ordinaria confermano (sono appena piovuti diversi daspo, anche se proprio tra la tifoseria bianconera, conseguenza diretta del recente confronto diretto tra la capolista e la sua vice, in Campania). Vero: il pallone sta diventando, settimana dopo settimana, una battaglia già scritta: tra le strade, ancora prima che sull'erba. E l'allenatore leccese, infastidito dall'accoglienza di domenica in terra emiliana, si appropria di tutte le ragioni: così non si può continuare. E tanto vale espatriare, ovvero allenare all'estero. Conte, poi, nel corso del match esulta corposamente alla seconda marcatura della propria squadra, che con la vittoria di Bologna si fregia del diritto di conservare lo scudetto: non aritmeticamente, ma ragionevolmente. Tanto da sollevare l'irritazione del collega Pioli. Che dimentica, tuttavia, una regola non scritta: festeggiare è ancora permesso. A chiunque. E, dunque, anche a Conte, peraltro sempre assai abile nel respingere le simpatie altrui. Colpevole soltanto, nello specifico, di non capire certe situazioni che possono essere equivocate: ma non di peggio. E, magari, di aver approfittato della situazione per tentare di smarcarsi dalla Juve, a fine stagione. Per accettare, come si sente dire, le offerte del Chelsea. Oppure, per guadagnare solo un po' di spazio in più in sede contrattuale: aggirando l'ostacolo.

venerdì 15 marzo 2013

Il marketing di Balotelli

Il Pallone d'Oro e il nome di sempre. Messi, solo Messi. E, a rimorchio, pochi eletti. Mario Balotelli non si rassegna all'anonimato internazionale e rivela, con non poca sfacciataggine, di aver perso l'occasione di competere e, addirittura, vincere la competizione e il titolo. Per limiti caratteriali ben sottolineati dalla cronache: dentro e fuori del campo. Segno che il ragazzo comincia timidamente a calarsi nella realtà. E a pensare, prima di agire. Certo, l'affermazione è un po' forte. E, probabilmente, non tiene conto di altri dettagli: alla superiorità tecnica, per esempio, di gente come l'argentino che zittisce tutti. O di altri big che, facendo due conti, indirizzano di fatto i destini dei club per cui giocano: da anni. Nutrendosi di regolarità, innanzi tutto. Ovvio: al coloured appena rientrato in Italia e immediatamente ambientatosi nel Milan non difetta la personalità. Che, se incanalata nella giusta direzione, non può che favorirne la crescita: sotto qualsiasi angolazione. Anzi, nell'epoca della comunicazione esasperata, certi segnali servono: anche a far circolare certe ambizioni. Quelle parole grondanti di autostima, probabilmente, nascondono una semplice operazione di marketing. Cioè, il desiderio di pubblicizzare un prodotto, il proprio. E se stesso: a costo zero. E Balotelli, un ventenne che vive velocemente il proprio tempo, navigando agevolmente tra i vizi e le virtù della quotidianità del terzo millennio, questa tipologia di situazioni l'ha decodificata benissimo. Lasciandosi coinvolgere dal proprio istinto, molto spesso. Ma cavalcando anche l'onda della spettacolizzazione di ogni momento.

lunedì 4 marzo 2013

Il futebol e il ritardo della Rai

La televisione generalista si affaccia sul Brasile. E fa di tutto perché si sappia. Qualsiasi trasmissione sportiva, dal lunedì alla domenica, lo ripete puntualmente e immancabilmente, da giorni: Rai Sport ospiterà il calcio brasiliano, del quale ha acquistato i diritti. Anzi, ha già cominciato: con le dirette di un paio di match per settimana. Omettendo però di precisare, sin quando è stato possibile, che il campionato Paulista non è quello nazionale, ad esempio. Ma solo un torneo statale: che noi potremmo tradurre con l'etichetta di regionale. Il primo appuntamento offerto (Linense-Ponte Preta) altro non è, per intenderci, che l'incrocio tra una società di terza serie e una di quella che, al di là dell'oceano, chiamano Segundona. Come se, in Italia, offrissero la diretta di Carpi-Modena. O di Avellino-Juve Stabia. Giusto per capirci. L'approccio al campionato vero e proprio, ovvero il Brasileirao, avverrà più tardi: per il semplice fatto che la kermesse non è ancora cominciata (se ne parla tra tre mesi). Il punto, tuttavia, non è questo. Disarma un po', piuttosto, sapere che la Rai scelga di avvicinarsi al calcio brasiliano, considerato ancora quello tecnicamente più evoluto del pianeta, ma solo sulla scia dei luoghi comuni, proprio nel momento storico peggiore. Non è un mistero che il pallone verdeoro stia ultimamente battagliando contro la scomparsa di talenti (mai così pochi, in un Paese dalle sorgenti credute inesauribili), contro una subdola crisi di gioco (le formazioni brasiliane, anche quelle più titolate, si esprimono mediamente male, anche per la cattiva abitudine di preferire la quantità e la sostanza, a dispetto della forma: incredibile, ma vero), contro la progressiva spersonalizzazione del gioco (lo ammette la stessa critica brasiliana e commentatori di prestigio come Tostão), contro il processo dell'eccessiva europeizzazione dei moduli. E se il futebol, ormai colonizzato da mediani che corrono e azzannano, si sta industriando a riportare dentro i confini nazionali antichi simboli come Ronaldinho o Pato (e anche Robinho potrebbe rientrare alla base), preoccupandosi di acquisire le prestazioni di vecchie conoscenze come Seedorf, un motivo ci sarà pure. Gli operatori di mercato europei, del resto, si sono accorti delle realtà da tempo. Ripiegando su altre aree del Sudamerica: la Colombia, ad esempio. Oppure il Cile. Oltre che l'Argentina, ovviamente. Solo la Rai sembra non saperlo. O non averlo capito. L'operazione commerciale, qualche anno addietro, si sarebbe rivelata intelligente. E vincente. Ma arriva con qualche anno di ritardo. Di colpevole ritardo.