lunedì 18 marzo 2013

Conte, Pioli e il Chelsea

Bologna non ama la Juve. Come Napoli. Come Firenze. Come buona parte di Torino, del resto (sponda granata, ovvio). Come Roma. E come altri luoghi d'Italia (magari, sarà anche il motivo per cominciare a chiedersi il perché). Dove arriva la formazione di Conte, cioè, crescono i problemi: di ordine pubblico, soprattutto. Come le ultime decisioni della magistratura ordinaria confermano (sono appena piovuti diversi daspo, anche se proprio tra la tifoseria bianconera, conseguenza diretta del recente confronto diretto tra la capolista e la sua vice, in Campania). Vero: il pallone sta diventando, settimana dopo settimana, una battaglia già scritta: tra le strade, ancora prima che sull'erba. E l'allenatore leccese, infastidito dall'accoglienza di domenica in terra emiliana, si appropria di tutte le ragioni: così non si può continuare. E tanto vale espatriare, ovvero allenare all'estero. Conte, poi, nel corso del match esulta corposamente alla seconda marcatura della propria squadra, che con la vittoria di Bologna si fregia del diritto di conservare lo scudetto: non aritmeticamente, ma ragionevolmente. Tanto da sollevare l'irritazione del collega Pioli. Che dimentica, tuttavia, una regola non scritta: festeggiare è ancora permesso. A chiunque. E, dunque, anche a Conte, peraltro sempre assai abile nel respingere le simpatie altrui. Colpevole soltanto, nello specifico, di non capire certe situazioni che possono essere equivocate: ma non di peggio. E, magari, di aver approfittato della situazione per tentare di smarcarsi dalla Juve, a fine stagione. Per accettare, come si sente dire, le offerte del Chelsea. Oppure, per guadagnare solo un po' di spazio in più in sede contrattuale: aggirando l'ostacolo.