E, dal momento che ci siamo, continuiamo. Agli
italiani, in fondo, piace così. E anche ai padroni del movimento calcistico
nazionale: colpevoli, soprattutto, di non adeguarsi alle novità tecnologiche
che, talvolta, potrebbero attutire le frizioni. Forse perché, senza, è più
agevole manovrare i destini altrui e radiocomandare il gioco. Sette giorni
dopo, un altro episodio di cattiva gestione dell’argomento offside spazza la serie A. Ne soffre, ovviamente, una società
solitamente maltrattata da decisioni e atteggiamenti arbitrali (il Torino). E
ci guadagna, ovviamente, un club politicamente forte (la Juventus). E’ solo un
caso (o forse no) che la partita sia innanzi tutto un derby: uno di quegli
avvenimenti che si caricano di tensioni suplettive e che trascinano polemiche
infinite, resistenti nel tempo. Ed è una coincidenza che proprio la Juve benifici, nello spazio
di soli sette giorni, di un altro aiuto provvidenziale. Provvidenziale
nell’immediato (il match è tirato, il Toro si cautela tenacemente, la formazione di Conte
zoppica e il risultato non si sblocca) e in prospettiva futura (logica alla
mano, se i bianconeri oggi stentano e vincono ugualmente, quando recupereranno
il proprio passo dovrebbero scavare una distanza incolmabile dagli avversari). Provvidenziale,
certo. Ma anche pericoloso: per il calcio, in generale. Perché, è inutile
fingere di ignorarlo, anche e soprattutto questi particolari derubano il
campionato della sua regolarità e il calcio della sua attendibilità. Sforzarsi
a parlare di buona fede, poi, sarà anche politicamente corretto: ma la gente
che vuole capire e pensare comincerà davvero a non crederci più. Sempre che ci
creda ancora. Anche questa volta, però,
la radiografia del misfatto ci interessa poco. Chi ha visto le immagini, sa. E
chi vuole accontentarsi gode. Infastidiscono di più, semmai, le repliche e le
controrepliche del club che si è avvantaggiato della nuova (ennesima)
situazione. Commenti, post e tweet ufficiali, alcuni persino grossolani (certe
dichiarazioni del tecnico, ad esempio, ci sembrano tatticamente anche
appropriate, ma eticamente inopportune): c’è di tutto. D’accordo: difendersi è
prassi normale, in ambito dialettico. E il confronto è la base della
democrazia. Ci sono momenti in cui, però, il silenzio semplifica le cose e
riduce gli attriti. Il silenzio: non tanto come ammissione di colpa. Ma come gesto
di distensione. Qualcuno non capirebbe ugualmente, però qualcun altro
gradirebbe, magari. I veleni, almeno, rimarrebbero tutti da una parte: dalla
parte degli sconfitti. Giustamente o ingiustamente, non importa: ma piegati da
un’ingiusta valutazione arbitrale. E, invece, i veleni circoleranno per un po’
anche dall’altra parte della barricata, quella premiata da un episodio chiarissimo.
Senza evaporare. Anzi, trasformandosi chimicamente in spocchia.