lunedì 28 aprile 2014

Il Torino e la domenca di troppo

Il quattro maggio è il giorno della memoria, nella Torino granata. E anche in tutta l’Italia del pallone. E ogni quattro maggio, da sessantacinque anni, si sale sul colle di Superga, per raccogliersi e per ricordare. E’ un rito, una tradizione. Un’esigenza. Questa volta, il quattro maggio coincide con la domenica del pallone. Che segue il sabato del pallone e procede il lunedì del pallone: il sistema, si sa, progetta il business e pretende che sia festa tutti i giorni (ma poi, in fondo, che sarà mai: e poi ci siamo un po’ tutti abituati, forse perché ci va benone anche così). Ad ogni modo, domenica quattro maggio si gioca. O meglio: gioca anche il Torino, a Verona, sponda Chievo. Come da calendario: quello che, puntualmente, viene stravolto da anticipi e posticipi più o meno telegenici. Ma, se il Torino gioca, la partecipazione al giorno della memoria diventa un’operazione logisticamente quasi proibitiva. La soluzione, però, esisterebbe. Semplice semplice. Dirottare il match in altra data. Posticiparlo: come Juventus-Atalanta. O come Napoli-Cagliari. Oppure, anticiparlo. Troppo semplice: dunque, improponibile. La Lega si oppone: il calendario è confezionato, ormai. Oppure: è opportuno salvaguardare la regolarità del torneo. Perché il Torino, tanto tempo dopo, torna a mirare ad un piazzamento Uefa. Che è il medesimo obiettivo dell’Inter, del Parma e del Milan. Ma anche della Lazio e del Verona: che infatti, incrociano i tacchetti con ventiquattr’ore di ritardo. Di lunedì, appunto. Ma anche perché il Chievo deve ancora conquistarsi la salvezza. Esattamente come il Sassuolo, che però torna in campo martedì. Il Torino, a questo punto, si sentirà pure ingiustamente defraudato di un diritto: possiamo facilmente immaginarlo. Ma chi non possiede, all’interno del Palazzo, un peso politico specifico si sforzi di scovare una motivazione. Oppure ne prenda atto. In silenzio, possibilmente. Tanto, è lo stesso. E chi possiede un attimo di tempo per pensare, probabilmente, si sentirà sufficientemente raggirato. Problemi suoi, comunque. La Lega e il movimento calcistico del Paese più buffo d’Europa sono blindati dalle proprie certezze, dalle proprie convinzioni. Peggio per il Toro, se ogni sette anni il quattro maggio è domenica. E se ogni domenica si continua a giocare, magari in quattro o cinque campi: con le curve chiuse, dentro stadi fatiscenti, sul filo di polemiche roventi e risse da osteria, in mezzo ai venti del razzismo becero, nel vortice cieco della sudditanza psicologica della classe arbitrale, producendo un prodotto tecnicamente scadente. Va tutto bene così com’è: e il Palazzo è felice. Si adeguino tutti, piuttosto. E poi, se in Brasile l’Italia dovesse resistere ai pronostici che assistono la concorrenza e regalarsi un altro titolo mondiale, chissà come e chissà perché, qualcuno tornerà anche a raccontarci quell’antica barzelletta: è tutto merito del campionato più bello e più organizzato dell’universo. Allora, però, la gente non sospetterà neppure di essere stata raggirata, una o più volte. E, sicuramente, alla barzelletta crederà pure. Spacciandola per storia vera.