lunedì 17 febbraio 2014

Conte, la verità come difesa

La Juve contro la Juve. Il presente contro il passato. L’allenatore della rinascita contro i ricordi più dolorosi e la storia più scomoda. Il peso specifico di Antonio Conte contro il pensiero appuntito di Fabio Capello. Forse non si amavano, i due. Certamente, ora si stanno detestando. Mentre la società, confusa, assiste. E la tifoseria, disorientata, s’interroga. Dalla Russia, il vecchio coach puntualizza, suggerisce, sentenzia. Quel lunedì punitivo somministrato da Conte alla squadra, immediatamente dopo il pareggio di Verona, non gli è piaciuto. Lui, Capello, non avrebbe agito così: è per il dialogo, sempre. Non per la pena incondizionata.. E poi quel campionato italiano, così poco competitivo, è tremendamente fuorviante, quando si parla di Europa. Ma il nuovo caudillo della Göba non apprezza. Sino a sbottare. Come avviene spesso, quando è necessario difendere il gruppo. Il proprio lavoro. O la propria immagine. La risposta è veemente: come se Capello guidasse l’Inter di Milano, piuttosto che la selezione nazionale del Paese di Putin. Veemente come ai tempi di quella battaglia legale e verbale ingaggiata con la giustizia sportiva, mesi fa. Conte contro Capello: è una questione di confronti, all’ombra dei successi. Eppure, il primo fa sapere di non ricordare né il predecessore, professorino senza il culto del rispetto, così diverso da Lippi e Trapattoni, né la sua Juve. Scavando, anzi, Conte qualcosa ricorda: la Juve dei due scudetti cancellati a tavolino. Quelli sì, ancora indelebili. Proprio quegli scudetti che il popolo juventino si tiene, invece, stretti. E che la società stucchevolmente continua a rivendicare. All’improvviso, cioè, il disconoscimento più rumoroso di un certo passato parte dalla stesse viscere del club. Non piove dall’altra parte della barricata, ma nasce al di dentro di quell’ecosistema che, sin qui, ha protetto il concetto di legittima paternità di un risultato ritenuto fraudolento. Un avvenimento epocale, dunque. Che rischia di alterare persino determinati equilibri, all’interno del club. E che, secondo i più maligni, starebbe per spianare la strada ad un più o meno imminente divorzio. Chissà. Involontariamente oppure no, intanto, il tecnico salentino ricorda alla gente di ogni fede e colore e alla sua stessa società quello che gli almanacchi e la realtà delle cose stanno cercando di farci capire da un po’ di anni: il numero civico delle vittorie ufficialmente intascate è il ventinove e non il trentuno. Forse, una verità troppo grande da nascondere e un equivoco troppo evidente da sopportare. Anche per un personaggio sanguigno e aggressivo come Conte. Anche per un guerriero inossidabile e ferocemente mourinhizzato come l’allenatore più chiacchierato d’Italia. E, adesso, persino meno antipatico di quanto avremmo pensato immaginare.