Mario Balotelli è quello di
sempre: teso, ruvido, nervoso. Un ragazzo un po’ così: a cui la vita qualcosa ha tolto, in passato. Restituendogli, più avanti, parecchio. Dal carattere
forte, ma in formazione. Talvolta inopportuno: nelle parole, nei comportamenti.
Da sembrare addirittura arrogante. Refrattario a certe consuetudini e certe
regole: scritte e non scritte. Un attaccante rampante ed esplosivo (sotto
qualsiasi angolazione) di ventitre anni che, sempre più spesso, si attira ogni
genere di complicazione: per leggerezza, superficialità, ingenuità o
sciatteria. Dimostrando esattamente quello che è: un professionista del pallone
universalmente considerato, ma anche disattento a certe dinamiche. E, comunque,
totalmente inserito nella sua quotidianità: in cui è preferibile apparire, prima
di tutto. Ma pure ingiustamente collocato al centro di qualsiasi questione:
anche in quelle più grandi di lui. E, per questo, difficilmente gestibile. Di
Balotelli, in realtà, si parla troppo, da sempre: questa è la verità. Persino
quando lui stesso ne farebbe a meno. Ancora prima che ci metta del proprio.
Come nelle ultime quarantotto ore. Il suo tweet,
in prossimità dell’incontro tra la
Nazionale di Prandelli e l’universo della legalità promosso
dai dilettanti del Quarto, non è passato inosservato: devitalizzando, seppur in
parte, lo spessore dell’iniziativa a cui la Federazione e lo
stesso coach sembravano e sembrano tenere parecchio (il codice etico, di questi
tempi, è cosa seria assai, per fortuna). E proprio Prandelli, più di altri, non
ha affatto gradito. Trovando immediatamente una contromisura che, di certo, non
possiede tutti i criteri di una soluzione democratica e che, perciò, fa già (e
farà ancora) discutere: ai prossimi Mondiali brasiliani, per i quali l’Italia è
già qualificata, verrà vietato a chiunque l’utilizzo dei social network, cioè uno dei simboli indiscussi di una generazione
proiettata nel mondo della comunicazione. Quella stessa comunicazione che molti
protagonisti, soprattutto tra i più giovani, faticano a decodificare e
utilizzare. Sarà poco democratico, Prandelli. Ma il concetto, in fondo, è
giusto: le parole sono pesanti. E, talvolta, non meritano di essere pubblicate.