martedì 15 ottobre 2013

La democrazia e il peso delle parole

Mario Balotelli è quello di sempre: teso, ruvido, nervoso. Un ragazzo un po’ così: a cui la vita qualcosa ha tolto, in passato. Restituendogli, più avanti, parecchio. Dal carattere forte, ma in formazione. Talvolta inopportuno: nelle parole, nei comportamenti. Da sembrare addirittura arrogante. Refrattario a certe consuetudini e certe regole: scritte e non scritte. Un attaccante rampante ed esplosivo (sotto qualsiasi angolazione) di ventitre anni che, sempre più spesso, si attira ogni genere di complicazione: per leggerezza, superficialità, ingenuità o sciatteria. Dimostrando esattamente quello che è: un professionista del pallone universalmente considerato, ma anche disattento a certe dinamiche. E, comunque, totalmente inserito nella sua quotidianità: in cui è preferibile apparire, prima di tutto. Ma pure ingiustamente collocato al centro di qualsiasi questione: anche in quelle più grandi di lui. E, per questo, difficilmente gestibile. Di Balotelli, in realtà, si parla troppo, da sempre: questa è la verità. Persino quando lui stesso ne farebbe a meno. Ancora prima che ci metta del proprio. Come nelle ultime quarantotto ore. Il suo tweet, in prossimità dell’incontro tra la Nazionale di Prandelli e l’universo della legalità promosso dai dilettanti del Quarto, non è passato inosservato: devitalizzando, seppur in parte, lo spessore dell’iniziativa a cui la Federazione e lo stesso coach sembravano e sembrano tenere parecchio (il codice etico, di questi tempi, è cosa seria assai, per fortuna). E proprio Prandelli, più di altri, non ha affatto gradito. Trovando immediatamente una contromisura che, di certo, non possiede tutti i criteri di una soluzione democratica e che, perciò, fa già (e farà ancora) discutere: ai prossimi Mondiali brasiliani, per i quali l’Italia è già qualificata, verrà vietato a chiunque l’utilizzo dei social network, cioè uno dei simboli indiscussi di una generazione proiettata nel mondo della comunicazione. Quella stessa comunicazione che molti protagonisti, soprattutto tra i più giovani, faticano a decodificare e utilizzare. Sarà poco democratico, Prandelli. Ma il concetto, in fondo, è giusto: le parole sono pesanti. E, talvolta, non meritano di essere pubblicate.