lunedì 7 gennaio 2013

Messi, noblesse oblige

Il Pallone d'Oro a Messi completa la sua quarta edizione. Tutto previsto. Tutto scontato. E tutto giusto, considerando lo spessore del giocatore, la prolificità dell'attaccante, la serietà dell'uomo, la continuità del numero uno e la tecnica indiscutibile di un argentino piccolo e sgusciante. Corsa a tre, avevano detto: tra lui, il portoghese Cristiano Ronaldo e uno spagnolo, Iniesta. In realtà, però, chiunque attendeva l'univo verdetto possibile. L'unico verdetto pronosticato e pronosticabile. Che aggiunge lustro a lustro: nessuno, prima di lui, aveva vinto il premio per quattro volte. Consecutive, oltre tutto. E nessuno, peraltro, potrà ribellarsi: il successo è blindato dalla realtà del campo. Nessuno vorrà discuterne, per una questione di ragionevolezza. Però, è difficile capire le coordinate che spingono la piccola folla che vota, orientando il giudizio finale. Perchè non sempre il più bello e il più bravo, oppure il più efficace dentro il rettangolo di gioco, ha potuto fregiarsi del titolo. Pensiamo a Maldini, buggerato almeno un paio di volte, anni fa. Oppure al tedesco Sammer, il preferito nel 1996, dopo aver dribblato qualsiasi proiezione. Tante volte, piuttosto, la votazione ha premiato un vincitore: di un campionato (meglio se del Mondo o, in mancanza, d'Europa), di una coppa di prestigio. Perchè solo chi vince può continuare a farlo impunemente: lo stesso Sammer è un esempio. Come Cannavaro, del resto. Non quest'anno, però: in cui Messi ha fallito, con il Barcellona, il traguardo dentro e fuori i confini nazionali. Al contrario di Iniesta, campione del mondo con la Spagna. O dello stesso Cristiano Ronaldo: che, almeno, si è guadagnato la Liga con il Madrid. Ma ogni votazione, si sa, possiede i suoi segreti. E l'illogicità delle sue logiche. Che, spesso, aggrediscono il buon senso. O, se non altro, la coerenza. Senza che ce ne voglia Lionel Messi: che resta il più forte dei cinque continenti. Ne siamo consapevoli: tutti.