sabato 4 gennaio 2014

Il tradimento e la scelta



Vladimir Petković è un signore di garbo infinito e di atteggiamenti glaciali. Arrivato alla Lazio, all’inizio della scorsa stagione, piacque sùbito. Alla gente che ama il pallone, alla tifoseria che affolla la curva nord dell’Olimpico e, infine, a Claudio Lotito, il suo datore di lavoro. Bella presenza, buone maniere, un buon sistema di gioco e, proprio in coda al campionato, una gran bella soddisfazione: la Coppa Italia. Non un trofeo qualsiasi, per chi vince saltuariamente: soprattutto, se la finale è anche un derby. Il derby di Roma. Ma le situazioni si evolvono. E alcune si involvono. La Lazio perde qualcosa. Non si rafforza. Lo spogliatoio si inquieta. Probabilmente, Petković perde pure un po’ di peso specifico. I risultati corrono dietro agli avversari, troppo spesso. La squadra, cioè, non sa ripetersi. Contemporaneamente, il tecnico bosniaco comincia a piacere alla Federazione svizzera, che cerca un nuovo driver, da giugno in poi.  Il flirt sfocia nell’accordo, assolutamente legittimo: proprio a giugno scade il contratto con la Lazio, è tutto in regola. L’allenatore stenta a pubblicizzare la novità. Infine, la Federazione Svizzera rompe il silenzio e diffonde un comunicato ufficiale. Petković, a fine stagione, saluta l’Italia e passa il confine. Lotito, in realtà, la prende male. Molto male. Anche se, di fatto, cerca da tempo di liberarsi del tecnico e di affidare la Lazio a qualcun altro. Magari, risparmiando su un ingaggio. Niente, Petković non si dimette. Non si muove. Sino a giugno. A meno che non arrivi l’esonero. Ed è proprio questo l’ultimo atto: il presidente si inventa anche il licenziamento per giusta causa. Per tradimento. E se si trattasse, invece, di semplice legittimazione della titolarità di una scelta? Lasciare un incarico per assumerne un altro, altrove: talvolta, succede. Anche se i padroni della nostra quotidianità, da un po’, si sono abituati troppo bene.