martedì 20 novembre 2012

L'orgoglio ferito che cancella il rigore

Ci sono direttori di gara che non deviano in corsa. Ed altri più disposti a rimettere in gioco se stessi, se serve: talvolta succede. Anche se in campo l'ammissione di colpa, per tanti, è ancora una macchia, una iattura. Molte volte, è questione anche di buon senso: chi ce l'ha, se lo tiene. E, chi non ce l'ha, non può acquistarlo. In altre circostanze, la cooperazione soccorre: e ci mancherebbe, dal momento che gli assistenti si moltiplicano, anno dopo anno. Almeno nel calcio dei più ricchi. Altre volte, la sinergia naufraga nel personalismo: ed è il momento peggiore. Comunque vada, però, sarà un insuccesso: perchè un'ammonizione, un penalty, un cartellino rosso o un semplice calcio di punizione accontenta uno e scontenta l'avversario. Ogni match, poi, possiede una sua storia. E, dentro ogni storia, ci sono atteggiamenti e approcci diversi. La storia di Matera-Battipagliese (serie D, girone H, uno a zero) è inedita, a queste latitudini. Se la memoria non ci inganna, è chiaro. O, meglio, è inedita la storia di un episodio che marchia la partita. Scorre il minuto ventitre, è il primo tempo. Il lucano Ciano interviene sul campano Trimarco: per il leccese Calogiuri è fallo da rigore. Dubbio, per chi rivede il filmato dell'azione. E anche per la maggior parte di chi è allo stadio. L'attaccante battipagliese, tuttavia, si lascia (ingenuamente?) scappare un commento che tradisce la sua simulazione. Un assistente di linea capta e, immediatamente, riferisce. Risultato: soluzione dagli undici metri commutata in fallo contro. E, ovviamente, anche sanzione personale per Trimarco. Giustizia ristabilita, nella sostanza: senza ricorrere ad una moviola che non c'è e che non è ammessa. E senza il minimo sospetto di doversi pentire. Pochi secondi per ricredersi: ma quanto basta per guadagnarsi l'elogio. Non tutti, dicevamo, sanno cambiare in corsa. Anche se, nel caso specifico, una malignità ci spinge a sorridere: ma non vi diciamo quale. Pensiero finale: magari, la tecnologia in campo non sfonda, dilatando il valore delle disattenzioni di chi deve giudicare. Ma, almeno, l'orgoglio ferito aiuta gli arbitri a rivedere le cattive decisioni. E a sconfessare i provvedimenti che, altrimenti, sarebbero tranquillamente destinati a sporcare e spaccare la partita.